
La semplicità ingannata
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Crediti:
LA SEMPLICITÀ INGANNATA
di e con Marta Cuscunàassistente alla regia Marco Rogante
disegno luci Claudio “Poldo” Parrino
disegno del suono Alessandro Sdrigotti
tecnica di palco, delle luci e del suono Marco Rogante
realizzazioni scenografiche Delta Studios, Elisabetta Ferrandino
realizzazione costumi Antonella Guglielmi
cura e organizzazione Etnorama
amministrazione Laura Marinelli
distribuzione Jean-Francois Mathieuco-produzione Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto
con il sostegno di Provincia Autonoma di Trento-T-under 30, Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, Comitato Provinciale per la promozione dei valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana di Gorizia, A.N.P.I. Comitato Provinciale di Gorizia, Assessorato alla cultura del Comune di Ronchi dei Legionari, Biblioteca Sandro Pertini di Ronchi dei Legionari, Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Monfalcone, Claudio e Simone del Centro di Aggregazione Giovanile di Monfalcone
con il sostegno dei partecipanti al progetto di microcredito teatrale Assemblea Teatrale Maranese; Federico Toni; Laboratorio Teatrale Re Nudo - Teatri Invisibili; Nottenera.Comunità_Linguaggi_Territorio; Bonawentura/Teatro Miela; Spazio Ferramenta; Tracce di Teatro d'Autore; L'Attoscuro Teatro Liberamente ispirato a Lo spazio del silenzio di Giovanna PaolinPrima rappresentazione 31 agosto 2012 Bassano di Grappa, B.Motion Festival Dal 2009 al 2019 Marta Cuscunà ha fatto parte del progetto Fies Factory di Centrale Fies
La Semplicità ingannata riporta alla luce la voce di un gruppo di giovani donne che, nel Cinquecento, lottarono contro le convenzioni sociali, rivendicando libertà di pensiero e di critica nei confronti della cultura maschile.
La Semplicità ingannata parla del destino collettivo di generazioni di donne e della possibilità di farsi “coro” per cambiarlo.
Nel Cinquecento avere una figlia femmina equivaleva ad una perdita economica: agli occhi dei padri era una parte del patrimonio economico della famiglia che andava in fumo al momento del matrimonio. Una figlia bella e sana era economicamente vantaggiosa perché poteva essere sposata con una dote modesta. Una figlia brutta o con qualche difetto fisico necessitava invece di una dote più salata. Per questo i padri di famiglia escogitarono una soluzione alternativa per sistemare le figlie in sovrannumero: la monacazione forzata.
Arcangela Tarabotti e le Clarisse del Santa Chiara di Udine attuarono una forma di resistenza all’utilizzo delle vocazioni religiose a fini economici davvero unica nel suo genere. Queste donne trasformarono il convento in uno spazio di contestazione, di libertà di pensiero, di dissacrazione dei dogmi religiosi e della cultura maschile con un fervore culturale impensabile per l’universo femminile dell’epoca. L’Inquisizione cercò con forza di ristabilire un ferreo controllo sulle Clarisse di Udine, ma le monache riuscirono a resistere per anni facendosi beffe del potere maschile e creando una sorprendente micro-società tutta al femminile, in un tempo in cui le donne erano escluse da ogni aspetto politico ed economico della vita.
La semplicità ingannata non è un documentario ma un progetto artistico dove il teatro è anche la possibilità di considerare il dato storico come un punto di partenza per un racconto che abbia come soggetto la società contemporanea. Questo approccio implica l’elaborazione di una storia non da una prospettiva documentaristica ma attraverso una visione artistica e posizionata, disposta anche a varcare i confini del conosciuto, del filologico e del politicamente corretto.
NOTE DI REGIA
Fino a che punto è lecito elaborare i dati senza che questa operazione si trasformi in un tradimento della verità storica?
Ho cercato di raccontare alcuni aspetti della vicenda realmente accaduta ad Arcangela Tarabotti e alle Clarisse di Udine attraverso analogie che li rendessero più vicini a noi. Per questo, concetti come “eresia” o “dote” assumono, nello spettacolo, anche significati altri, più ampi di quelli letterali, nel tentativo di guardare, oggi, alla “monaca forzata” come simbolo non esclusivo della condizione femminile nel suo complesso. Una condizione che ha ancora bisogno di riscatto.
Marta Cuscunà
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