
Giu-ro. Libera Gioventù Bannata dal Tempo
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Dal 11 Apr 2026 al 26 Apr 2026
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12 Apr 2026
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13 Apr 2026
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22 Apr 2026
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25 Apr 2026
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26 Apr 2026
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Crediti:
GIU-RO
Libera Gioventù Bannata dal TempoVersi, canti e testi, drammaturgia di Mimmo Borrelli
Liberamente “shak-ispirati” al dramma del Bardoregia Mimmo Borrelli
con la Compagnia Bellini Teatro Factory
Greta Bertani, Sofia Celentani Ungaro, Filippo D’Amato, Daniela De Riso, Miriam Giacchetta, Cristoforo Iorio, Tarek Ismail, Valeria Martire, Gaia Napoletano, Matteo Ronconi, Giuseppina Ruggiero, Luigi Savinelli, Umberto Serra, Lucia Straccamore
assistenti alla regia Bellini Teatro Factory: Martina Abate, Antonio Basilee la partecipazione straordinaria di Gennaro Di Colandrea
musica in scena e composizioni originali Antonio Della Ragione
luci Salvatore Palladino
scenografia Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozziproduzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini
Da qualche anno dopo le felici fatiche de LA CUPA, il successo, il processo di creazione, le ovazioni di una forma di teatro che a detta di tanti ha aperto le porte ad una nuova storia, cambiando le sorti della scena contemporanea, ormai svuotato da tale responsabilità e fatica, mi chiedevo se fosse così urgente dopo tale enorme impresa (fatta di migliaia di versi: ben quindicimila; cinque anni di scrittura; soddisfazioni dell’esito e del processo; ore in sala; canti; messa in viscere e verticalizzazione; concretizzazione di una poetica anche e soprattutto scenica arcaica seppur nuova, innovativa seppur nel solco della tradizione drammatica alla quale appartengo e che mai rinnegherò, per apparente, ma non fondante spirito del nuovo), affrontarne subito un’altra senza quella magica parola per me sempre intatta e tesa alla mia cocciutaggine: il senso. Il tutto tradotto in quella semplice frase che suona come una condanna per un artigiano delle tavole: e adesso che faccio.
La necessità del racconto per uno scrittore, dove l’atto generativo di emozione sta in quella meravigliosa solitudine di creare da solo, rappresenta l’unica vera possibilità di vita scenica e artistica.
Ritrovare il senso di scrivere, anche e soprattutto dopo le sorti nefaste che la pandemia ha portato sulla pelle e il respiro, della nostra già divisa società dell’apparire, dove impera ancor di più unicamente l’odio condiviso al fine di una sola fede, il consumo.
Quel senso, rispetto al quale anche la nascita di mio figlio ne aveva spostato l’asse: non era ancora lievitato al punto giusto.
Ma senza saperlo stavo continuando a covarne l’occasione, scrivendo magari non con quella continuità, fatta di spalle e occhi curvi e penna ostinata d’inchiostro al tavolaccio di famiglia, per mancanza di tempo che avrei rubato inevitabilmente all’epifania di conoscenza di mio figlio, con le dovute manifestazioni collaterali che la colpa ebraica delle mie origini flegree, avrebbe inflitto senza speranza alla mia psiche.
Ma stavo cercando con centinaia di poesie scritte su fogli di carta e ahimé anche al cellulare, una strada, un approdo, la rotta in acque nuove di un nuovo viaggio.
Con i fratelli Russo, che ringrazio sempre per la loro aderenza ai miei folli voli, per una lieta coincidenza di visione, abbiamo puntato felicemente e con grandi responsi, in modo triennale in questo recente passato, sul mio repertorio: La Cupa, SangheNapule, Il Gelo e infine quel percorso meraviglioso di Opera Pezzentella condiviso con la fame ed il talento dei ragazzi della Bellini Teatro Factory. I miei figli artistici.
Ci eravamo promessi ovviamente, un inedito, ma dopo duecentomila versi in meno di quindici anni avevo bisogno, non solo del tempo, ma dell’argomento necessario. E non mi ero reso conto di averlo sotto gli occhi.
I giovani ti insegnano tanto e nei tre anni passati con gli allievi oramai già attori della Bellini Teatro Factory, non mi ero reso conto che stavo studiando antropologicamente e socialmente proprio loro. Stavo dedicando alle loro enormi problematiche e contraddizioni, istintivamente tanti versi e poesie: perché?
Perché sono padre da qualche anno e da qualche anno ho paura.
Paura del mondo che lascerò a mio figlio, paura di non saper trasmettere e sottolineo trasmettere esempi e valori che possano metterlo in condizione di vincere una guerra in atto a sua insaputa: paura come Sir William vide morire sui figlio, di veder morire il mio nell’anima, di fronte alla mediocrità dell’arte e della bellezza, di una società che rifiuta responsabilità e non si definisce, poiché non abbiamo permesso ai nostri figli di fallire, fallendo al fine di evolversi dagli errori commessi. Ma una società che non si definisce e non sceglie come un bambino sceglie continuamente sbagliando, è destinata a morire presto:
Morte del figlio la mia peste.
Farti fallire al calpestio virale.
di foglie morte di vanità in foreste.
Sfiorite. Di cancrena. Digitale.
Ecco il loro regime status quo:
equi senza legge e nessun perciò.
Quanto è sì, facile piangere
di rabbia dopo. Mentre al prima
si fa sordo ascoltarsi e giungere
ad un accordo in fiducia di stima.
Metti la mano sul fuoco e conoscerai nel dolore il dono del fuoco.
Scottati per emanciparti e proseguire, evolvere, nell’errore per non commetterne altri, il viaggio dei padri. Custodisci l’arte del fuoco segnata dall’ustione.
Diffondila in eredità agli altri e ai tuoi figli evitando tali dolori, ma non nascondendo l’orgoglio delle ferite e scottature. Tutto nel pieno conflitto, ma con uno scambio una trasmissione di fiducia, senza l’accusa del nuovo (spesso mediocre), che deve necessariamente uccidere il vecchio e sostituirlo al comando.
La peste telematica, le differenze di genere, la violenza in sparatorie nelle strade per un piede pestato, il femminicidio, la coscienza del fallimento, la depressione precoce, il suicidio… il fallimento dei genitori mai in ascolto, il conflitto generazionale.
Tutti questi argomenti facevano parte di una storia e di un archetipo.
Tutti questi fatti erano già accaduti e già raccontati in tante epoche già prima di Shakespeare.
Tutto questo è stato affrontato con i miei ragazzi, in mesi di improvvisazioni partendo dal testo in inglese e incarnando il tutto, nelle voci e diverse emotività e dialetti e nel corpo di questi ragazzi stessi. Un percorso di scavo quasi autobiografico, riconoscendosi in un testo antico che mai avrebbero scoperto parlasse proprio di loro.
La peste del mondo crudele e atroce e la morte del proprio amato figlio, che attraversò la scrittura del Bardo nella tragedia di Romeo e Giulietta, nel mio prossimo presente, “hic et nunc, acta e non verba, acta est fabula”, diventano il mega-terremoto dei Campi Flegrei che spazzerà via il sud Italia in un mare nuovo. Creando un vuoto anche geografico dove il mare invaderà ogni cosa.
Cosicché la Verona diventerà Vacua (lett.: il vuoto; l’antropologo Gianni Race da sempre individua in questa radice l’origine del nome della dannata città di Bacoli, dalla quale provengo).
L’acropoli di Cuma diviene un l’isolotto dei cannibali. Il cimitero dove Romeo e l’amata troveranno morte precoce.
Secondo una leggenda puteolana, raccolta in questi anni già prima delle attuali non liete scosse bradisismiche: si narra che quando Zeus sconfisse Cronos (il tempo, a cui è sottoposta la storia continuamente nella fretta incondizionata e ostinatamente bulimica dei due amanti), confinò nel Tartaro i Titani i Giganti. Siccome, in tutto luogo, i Romani ambientavano nei Campi Flegrei la loro intera mitologia: gl’Inferi avrebbero avuto sede nel Lago D’averno (vedi Virgilio, Strabone, Orazio, Seneca), all’epoca imperiale fumante; la Palude dell’Acheronte – Acherusia Palus, nelle zone dei Mazzoni di Torregaveta; il Tartaro e i suoi Giganti, nella Solfata di Pozzuoli.
Quando un Gigante si scatena… vo’ dice ca sta sagliaenne.
Sta risalendo e si sta manifestando.
Quando scoppierà il vulcano… il Gigante sarà libero. Scrivo tra queste scosse, il presente mi parla tra i fumi, lo zolfo e i suoi fumi illuminati dai raggi solari e lunari alimenta la profondità dei versi.
Qui il Gigante diviene il Principe che divora poli-famelicamente di uomini deceduti di morte violenta e assassinati, i quali si reincarnano in bestie.
Primma giacque l’enorme tuono.
Po’… il sussulto nel suo detonare.
Poi la sabbia senz’alcun frastuono.
Sorse di tufo, la terra ra lu mare.
Assummaje re ttufo, re tterra r’ ’u mare.
Sorse la fine in boato di balena.
Balenaje ll’onna ca sbrennev’acciare.
E screvetteme ll’urtemi vierze ’nterr’ ’a rena.
Un mondo probabilmente distopico, ma non fantascientifico e così lontano, dove ancorare l’amore indefinito di Romeo che rappresenta la notte, la non voglia di vivere di Giulietta, piccola rivoluzionaria che si rivede nella forza del sole. Il dis-astro dei padri, naviganti di imbarcazioni dove i figli vengono considerati al pari di schiavi ridotti in morte ai remi di galee.
È qui la fine. Il conflitto
generazional si fa delitto.
Figli che rinnegano,
padri che i figli annegano.
I pianeti collidono senza costellazione.
Dissestati gli assi di gravità e natali.
Giuro e credo sia coerente un’estinzione.
La morte dell’adolescenza si manifesta
al buio, in un lutto e coincide con la festa.
Il cupo si vede, s’evince dal suo totale
nero. Oscurità senza nessun bagliore,
nel momento in cui la luce sorge e sale
contraddice le tenebre. Né senti lo sentore.
In questi tempi bui, le storie si ripetono:
il crudo e nudo buio, in luce senza cometa.
Ribelli, adolescenti, imbelli che si drogano
di luce che mai si piega, ma arde d’inquieta.
I padri che già in rovina rappresentano: il prototipo degenerato dal rigurgito in pixelle di internet e social dell’heater fascista sputasentenze, che pur di trastullare, senza alcuna natura di amore, il proprio ego, in fallo, farebbe e commetterebbe qualsiasi atto di puro male. Il male senza motivo, l’ultimo prototipo di una generazione malata, umiliata, mai educata al bello se non nel suo possesso, giammai condiviso, ma osteggiato e messo in scena per il puro obiettivo di far star male gli altri, prossimi schiavi vicini, lontane carcasse di sfruttati.
Vincerà comunque l’amore.
Ma non senza morte di faccia e di cuore.
Vincerà comunque il dolore.
Ma non senza esempio e onore.
Info Parcheggio e Accessibilità

Info Parcheggio e Accessibilità
Dimentica lo stress da parcheggio per arrivare al Teatro Bellini. Potrai lasciare la tua macchina presso uno dei parcheggi convenzionati col Teatro:
- Garage Correra
via Francesco Saverio Correra, 29 – 90135, Napoli (NA)
(+39) 081 564 0118 - Ecumano Parking
via S. Giovanni Maggiore Pignatelli, 41 – 80134, Napoli (NA)
(+39) 081 580 2152 - Parcheggio Cavour
P.za Cavour, 34 – 80137, Napoli (NA)
(+39) 081 454183
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