di Francesca Napoli
L’Empireo è un dramma corale tratto dall’opera The Welkin di Lucy Kirkwood, diretto da Serena Sinigaglia, con l’adattamento drammaturgico di Monica Capuani. La pièce è ambientata nella Londra rurale del 1759. Protagoniste dodici donne chiamate a giudicare un’imputata accusata di infanticidio. Il consiglio ha solo un’ora per decidere se è incinta e risparmiarle la forca. Il consesso è composto da matrone, inadatte a svolgere l’oneroso compito e incapaci di intessere un tappeto di opinioni concordanti. Nella confusione la voce di Elisabeth, di professione levatrice, esordisce: «Scusate ma stiamo parlando di noci moscate o della vita di una donna?».
Tredici donne e un solo uomo irrompono in scena con passo felpato, si presentano all’improvviso ma con discrezione, disponendosi a semicerchio con il copione fra le mani come in una prova. Alternando recitazione e lettura, l’illusione teatrale si fa chiara e il dramma sollecita la riflessione dello spettatore che, stimolato dalle dissonanze, non si adagia unicamente sul proprio sentire. La musica, pur sottolineando gli stati d’animo, lascia reiteratamente spazio all’elaborazione dello spettatore.
Sin dall’inizio una donna crucciata, cupa, contorta, interpretata con maestria da Viola Marietti, viene affiancata alle altre, esuberanti, loquaci o semplicemente dinamiche nella gestualità, come Elisabeth, incarnata con perizia da Arianna Scommegna, in un bianco e nero complessivo che affida al pubblico il compito di delineare la scena. La dimensione corale della rappresentazione si consolida nel momento in cui gli interpreti cantano all’unisono, enfatizzando il confronto collettivo da cui dipendono le sorti dell’imputata.
Le luci provengono dall’alto a decifrare le espressioni perplesse, poi impaurite o sfacciate della giuria. I costumi aderiscono perfettamente al contesto storico con ampie gonne, corpetti stretti e calzature di carattere. L’utilizzo massivo del nero contribuisce a creare un’atmosfera cupa e angosciante. Il gioco di contrasti è utilizzato dalla regista per esaltare le differenze fra i personaggi e sottolineare il tono prima serio e poi ironico della tragicommedia. Lo spettatore è chiamato sin da subito a riflettere sulla natura del teatro e la rappresentazione, senza indugi, gli ricorda che sta assistendo a un gioco scenico, strattonandolo tra la storia e la sua esecuzione. Il cast inscena l’essere donna oltre il tempo, laddove solidarietà, empatia e giustizia restano valori fondamentali da conquistare e difendere. Il pubblico, che ha riempito la sala, è posto di fronte a una storia di discriminazione di genere che si ripete dal Settecento ed è sollecitato, quindi, a essere attore di un cambiamento.

