di OgniDonnaunaMadonna, Street Artist
The Belliner n.37
Giugno 2020, un amico mi gira un link di un articolo di giornale. Il titolo riporta “non è arte, è blasfemia” e, appena sotto, la foto di un mio lavoro. È stato lì, in verità, che ho capito di essere considerata un’artista.
Avevo attaccato da qualche giorno, per strada, una serie di poster ritraenti Madonne “moderne” create con Photoshop, ispiratemi da un brutto episodio: quello che consideravo un amico mi aveva messo le mani addosso, giustificandosi successivamente di aver ignorato il mio “no” perché ero vestita in modo, a suo dire, provocante.
Fino a quel brutto momento, a dire il vero, non solo non avevo mai pensato di essere un’artista, ma non mi ero mai davvero posta delle domande su cosa significasse essere donna. Avevo classificato le molestie verbali e la discriminazione sul lavoro come qualcosa di normale: tutto sommato, il catcalling era sostanzialmente innocuo e, a fronte di qualche sforzo in più, sarei riuscita a farmi prendere sul serio anche sul lavoro. Avevo ridotto a icona tutti i problemi che avevo avuto in quanto donna, declassandoli e archiviandoli come semplici fastidi. L’aggressione in casa mia, invece, mi svegliò all’improvviso dal mio stato acritico: per l’ennesima volta, il mio aspetto aveva avuto più autorità della mia parola. Io, al contrario, cominciai a notare quanto frequentemente la mia voce venisse messa in secondo piano: da quanto tempo ero diventata muta?
È nata così OgniDonnaunaMadonna, che inizialmente non era un progetto, ma l’esigenza di ritrovare la sacralità che mi era stata portata via, e che forse mi ero fatta sfuggire di mano ben prima dell’aggressione. Volevo poter guardare, con i miei occhi, una divinità femminile che mi assomigliasse, e dirmi che chiunque l’avrebbe riconosciuta indipendentemente dall’abito. Ho creato le mie prime immagini per sfogo, o per gioco, come una celebrazione della mia libertà.
Sapevo che le immagini di una Madonna sorridente e scollata avrebbero dato fastidio, ed è stato proprio per dispetto che ho cominciato ad attaccarle per strada: una Madonna allegra, vestita come una di quelle donne che siamo abituati a vedere nelle pubblicità – e che la società ci incoraggia a imitare – è una bestemmia. Quello che non immaginavo, invece, era che le Madonne non avrebbero mai più rappresentato solo me: appena condiviso il racconto che mi aveva portata a fare street art, mi arrivarono decine di racconti simili al mio, a volte con esiti molto peggiori. Sembrava che le Madonne sexy avessero finalmente liberato le vittime di abusi da quella goccia di colpevolezza che ognuna di noi avverte quando subisce una molestia: avrei potuto fare qualcosa per evitarlo? Forse me lo sono meritato? Ho dato qualche “segnale sbagliato”? Le Madonne rispondevano, sorridenti: assolutamente no!
In questi quattro anni, non ho dovuto solo rispondere alle accuse di blasfemia: sono anche nate interminabili discussioni con persone di cultura, per le quali la sensualità delle mie Madonne è un pericoloso incoraggiamento all’oggettificazione della donna.
È difficile parlare di femminilità, di disparità di genere e di femminismo, al punto che sembra non esserci un modo giusto per essere donna, ma solo centinaia di modi sbagliati: sei una buona femminista se ti depili? Sei abbastanza moderna, o evoluta, se senti il bisogno di rifarti il seno?
La risposta che sono riuscita a darmi, in generale, è che liberarsi dallo stigma di genere non significa passare da un catechismo ad un altro, ma essere sé stessə, in armonia con contraddizioni e complessità. Questo è anche il significato che ho trovato nell’arte: toccare corde che sfuggono alle disquisizioni, sapere che ciò che urla dentro di noi risuona perfettamente in altre persone, e arriva prima di qualunque ulteriore complicazione aggiunta dalla ragione.
Non ho studiato all’accademia e conosco solo questo tipo di arte: dopotutto, le mie sono immagini elaborate al computer, rubando al comodino di mia nonna e a qualche catalogo di intimo. Creare OgniDonnaunaMadonna mi ha insegnato che non importa quanto bizzarro o dilettantistico possa sembrarci ciò che abbiamo da dire: vale sempre la pena di sfidare gli schemi, non ci si libera mai solo per se stessə.
Street Art significa creare in spazi non autorizzati, scegliere di appropriarci di un posto che non era progettato per noi, mettere un piede oltre la linea di demarcazione e dire al mondo “ehi, sono qui!”. L’invasione di un confine che non ci prevedeva.
Durante la prima settimana di marzo, invece, è previsto che le donne di tutto il mondo facciano qualcosa per rivendicare i propri diritti. È altresì previsto che durante la seconda settimana di marzo si cambi argomento. Ma, se la vostra voglia di esprimervi non appassisce con il mazzo di mimose, dite la vostra: in casa, a scuola, sui muri. La pagina centrale di questa edizione del Belliner è una riproduzione di una mia Madonna: sentitevi liberə, nelle settimane a venire, di attaccarla ovunque vogliate, firmandovi col vostro, o col mio nome.