di Giovanna Cigliano, Professoressa ordinaria di Storia contemporanea all’Università di Napoli Federico II
The Belliner n.35
Nell’aprile 1836 fu rappresentata per la prima volta a Pietroburgo l’opera teatrale L’ispettore generale (Revizor), scritta da Nikolaj Gogol’, autore di origini ucraine che ha firmato alcuni testi importanti della letteratura russa: racconti come Taras Bul’ba, raccolte come Le veglie alla fattoria presso Dikan’ka e I racconti di Pietroburgo, e soprattutto il celebre romanzo Le anime morte, rimasto incompiuto anche perché l’autore stesso, ormai preda di una grave crisi interiore, ne distrusse la terza parte.
La rappresentazione dell’opera, alla quale assistette anche lo zar Nicola I, ebbe un notevole successo di pubblico, ma creò al tempo stesso grande scalpore nell’opinione pubblica del tempo, e alimentò le accuse più disparate all’indirizzo dell’autore, al punto che egli, profondamente turbato, decise di recarsi all’estero, dove intraprese viaggi in diversi Paesi. Morì a Mosca nel 1852, a soli 43 anni.
L’ispettore generale è una satira amara della burocrazia zarista così come della società provinciale dell’epoca, una commedia degli equivoci percorsa da un pessimismo di fondo: non vi sono personaggi positivi, tutti hanno qualcosa da nascondere, non è tratteggiato neanche un carattere onesto.
Essa ci riconduce al contesto storico del periodo di Nicola I, connotato dal potenziamento della sorveglianza poliziesca e della censura preventiva, dalla costruzione di una barriera protettiva che tenesse l’impero russo al riparo dalle idee sovversive provenienti dall’estero. Nel 1826 fu costituita la Terza sezione della Cancelleria imperiale, poi abolita verso la fine del regno di Alessandro II, nel 1880. Essa era stata originariamente concepita non tanto come organo di repressione del dissenso, quanto come strumento per arginare gli abusi della burocrazia corrotta: il potere autocratico legittimava la propria azione richiamandosi alla propria intrinseca capacità di tutelare il popolo e di rappresentarne i bisogni.
Il significato dell’opera di Gogol’ trascende però la contingenza storica della Russia imperiale e ci sembra di portata universale: induce a riflettere sui meccanismi molecolari del potere, sulla sua capacità corruttiva e sulla molteplicità dei livelli di compromissione nello Stato e nella società.
La figura di Gogol’ ci appare di particolare interesse anche alla luce delle drammatiche vicende odierne, dal momento che ci aiuta a comprendere quanto le radicalizzazioni e contrapposizioni del tempo presente siano il frutto di un lungo percorso storico, e non un dato immutabile della realtà: egli si colloca in una stagione ottocentesca caratterizzata in queste aree dell’Europa orientale dalla presenza di identità nazionali plurime e talvolta fluide, nella quale era ancora possibile definirsi al tempo stesso ucraino e russo. Inoltre lo scrittore intratteneva un peculiare rapporto con il vertice del potere assoluto dell’epoca, lo zar Nicola I, al quale spesso si appellava con successo per superare gli ostacoli posti dalla censura: lo zar infatti, assieme alla sua famiglia, apprezzava il talento gogoliano e in più occasioni rivestì il ruolo di patrono autorevole della sua arte. Dopo la morte di Gogol’, e nonostante il parere contrario del censore, Nicola I dette il via libera alla pubblicazione delle sue opere.
Anche il tema della censura e del conformismo opprimente che essa ispira e promuove ha una risonanza che va ben oltre la contingenza storica ottocentesca, ma è bene precisare che si tratta di un tema che è venuto assumendo connotati nuovi con l’avvento della società di massa nei primi decenni del Novecento, e ancor più con la rivoluzione mediatica e informatica verificatasi a partire dagli ultimi decenni del XX e soprattutto nel XXI secolo.
Nelle sue diverse declinazioni storiche la censura ha indubbiamente rivestito un ruolo di primo piano nella storia culturale e politica della Russia zarista, sovietica e post-sovietica, fino alla fase attuale iniziata nel 2022, che vede la censura nuovamente saldarsi strettamente con la propaganda di guerra, come già accaduto al tempo della Prima e della Seconda guerra mondiale. Ma sarebbe riduttivo circoscrivere la riflessione sulla censura ai regimi di tipo autoritario: non meno interessante è ragionare sui modi, più sottili e sofisticati ma sovente non meno pervasivi, in cui si configura la censura nelle democrazie liberali, tanto più in periodo di guerra, quando la necessità di compattare il Paese contro il “nemico” e di mobilitare propagandisticamente l’opinione pubblica induce non di rado a manipolare l’informazione, tacendo o al contrario amplificando notizie e informazioni.